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Final Fantasy VII Rebirth • Recensione PS5

Final Fantasy VII è morto. Lunga vita a Final Fantasy VII

Trama e narrativa - 9
Gameplay - 9.5
Comparto estetico - 10
Comparto tecnico - 8
Comparto audio - 10

9.3

Final Fantasy VII Rebirth è riuscito nell'impossibile: elevare all'ennesima potenza quanto di buono fatto con il primo capitolo, confezionando un'avventura emozionante, divertente e sorprendente. Alcune scelte narrative sono certamente opinabili, ma l'universo di Final Fantasy VII non è mai stato così vivo.

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Final Fantasy VII non è un semplice videogioco, ma un’opera che ha cambiato per sempre l’industria della quale fa parte, introducendo buona parte del mondo occidentale al genere dei JRPG, un’appendice di quelli che, più comunemente, definiamo come giochi RPG.

Da quel lontano 1997 sono passati 27 anni, eppure l’eredità del titolo non è mai venuta meno, tanto da portare Square Enix, la casa produttrice, a considerare l’idea di un vero e proprio remake, che ha visto finalmente i natali nel 2020 grazie a Final Fantasy VII Remake.

Un’operazione tanto desiderata quanto complessa, dal momento che tornare a lavoro su un’opera dal valore inestimabile (dal punto di vista passionale almeno) è certamente un rischio, in quanto è necessario trovare il giusto equilibrio tra il preservare e il rinnovare.

Il timore del peccato non ha però fermato gli sviluppatori, che hanno dato prova, con il primo episodio di questa trilogia di remake, di saper reinventare l’universo di Final Fantasy VII in maniera egregia, dal punto di vista narrativo, estetico e soprattutto ludico.

Final Fantasy VII Remake ha infatti conquistato i cuori di vecchi e nuovi fan, realizzando un sogno a lungo solo auspicato.

La rinascita di una leggenda

Nonostante un finale turbolento, l’attesa per il secondo atto del remake era incontenibile, non solo per il suo valore immanente, ma anche perché avrebbe chiarito, la strada che avrebbe percorso, d’ora in avanti, il progetto. Se il primo capitolo infatti ne aveva gettato le basi, toccava al secondo costruire sulle fondamenta e dare una forma chiara e distinta all’ambizioso progetto.

Dopo anni di attesa e più di cento ore di gioco, siamo finalmente pronti a parlare di Final Fantasy VII Rebirth. Un’opera complessa, piena di sfaccettature e in grado di stupire più di quanto ci saremmo aspettati.

Una cosa è certa: questo è il miglior lavoro di Square Enix degli ultimi anni.

Trama e narrativa

Final-Fantasy-VII-Rebirth-Trama-e-narrativa

Final Fantasy VII Rebirth riprende esattamente dove si era interrotto il suo predecessore, con il gruppo guidato da Cloud che riesce finalmente a lasciare la metropoli di Midgar, scoprendo al contempo il ritorno del leggendario eroe Sephiroth, creduto morto a causa di un incidente avvenuto anni prima.

Cloud, Tifa, Aerith, Barret e Red XIII partono dunque all’inseguimento dell’angelo mono-ala, per svelare i suoi piani e salvare il mondo, minacciato, oltre che dal leggendario SOLDIER, anche dalla compagnia elettrica Shinra, la quale giocherà un ruolo fondamentale negli avvenimenti.

Questa seconda parte del progetto Remake copre quasi tutti gli eventi della parte centrale dell’originale, concludendosi alla Città degli Antichi. Se questa scelta da un lato permette di approfondire, a volte forse in maniera anche eccessiva, gli avvenimenti del secondo atto dell’originale Final Fantasy VII, dall’altro si rivela un’arma a doppio taglio, in quanto impedisce una concreta escalation degli avvenimenti, almeno fino alla fine del titolo.

Nonostante questa lieve imperfezione (che comunque è perfettamente giustificabile, vista la suddivisione di una struttura narrativa pensata in origine come unicum), la narrazione in Rebirth scorre in maniera fluida e con rari momenti morti, espandendo l’universo e la lore di Final Fantasy VII in ogni direzione.

A trarre vantaggio da una tale acribia sono soprattutto i personaggi, che vantano una caratterizzazione davvero maestosa. Con un cast così numeroso (chi ha giocato l’originale sa a cosa mi riferisco), era davvero difficile trovare il giusto equilibrio ed il giusto spazio da donare ad ogni membro del party (e non solo). Eppure l’ardua impresa non ha evidentemente scoraggiato gli sviluppatori, che hanno invece tratto vantaggio dalla situazione.

Ogni protagonista mostra tanta forza quanta fragilità, varcando quell’impercettibile confine che separa personaggio e persona, finzione e realtà. Colpa, amore, redenzione, perdita, sacrificio, avidità, follia, tutti temi che sono stati sempre centrali in Final Fantasy VII e che qui raggiungono la piena maturazione.

Un encomio speciale va poi al rapporto che lega Cloud e Sephiroth, due personaggi scritti in maniera complementare e che qui manifestano un legame indissolubile, creando quella perfetta miscela che coagula eroe e villain all’interno di un’unica sostanza.

Gli unici a restare fuori da questa equazione sono in verità Cid e Vincent, i quali, pur unendosi alla squadra, non saranno giocabili all’interno di Rebirth (molto probabilmente per donare loro il giusto spazio all’interno del terzo capitolo).

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Ogni singola porzione di storia dunque arricchisce il quadro narrativo generale, andando ad ampliare tanto le locations quanto i personaggi che vi abitano, creando delle micro-sezioni narrative congruenti con lo schema al quale appartengono. È proprio in queste sezioni di storia che si raggiungono alcuni dei momenti di pathos più intensi, mantenendo alta l’attenzione e stimolando la curiosità del giocatore.

Nonostante le possibili divergenze narrative, venutesi a creare dopo l’ambiguo finale del primo capitolo, bisogna evidenziare come, per la maggior parte del titolo, l’avventura si mantiene fedele all’originale, andando a deviare solo in poche occasioni o alterando alle volte le tempistiche di certi avvenimenti.

Un occhio di riguardo è stato poi donato alla Compilation di Final Fantasy VII, che in più occasioni non mancherà d’esser citata all’interno delle vicende, senza però risultare invasiva o fuorviante, anche se potrebbe sollevare diversi quesiti a chiunque non conosca le vicende che ruotano intorno l’universo del titolo.

Il nostro consiglio è pertanto quello di recuperare quante più informazioni possibili sulla Compilation prima di iniziare l’avventura, dimostrando, paradossalmente, come il progetto Remake sia più indirizzato ai veterani che ai neofiti.

Da evidenziare anche la cura riposta nella gestione dei registri stilistici. Come l’opera originale infatti, Final Fantasy VII Rebirth riesce perfettamente a riunificare, all’interno della medesima narrazione, diversi toni, passando dalla commedia al dramma puro con una fluidità e coerenza interna che non è da dare per scontata, avvicinando il lavoro al genere della tragicommedia.

Il vero punto critico dell’apparato narrativo di Final Fantasy VII Rebirth risiede, com’era facile aspettarsi, nel finale, anche stavolta ambiguo e controverso. A causa di precise scelte registiche ed intenti non sempre cristallini, l’ultima ora di gioco risulta un crogiuolo di decisioni opinabili che vanno in parte a rovinare uno dei momenti più iconici del gioco originale.

Le motivazioni possibili sono numerose, ma questa è una sede di analisi e non di speculazione, pertanto metteremo da parte i semplici giochi dell’intelletto per focalizzarci sul risultato, che sappiamo già dividerà la fan base.

In ogni caso, l’ultima ora non va retroattivamente a danneggiare quanto di buono fatto fino ad allora, pertanto l’aspetto narrativo di Final Fantasy VII Rebirth convince pienamente, dimostrandosi un degno erede del titolo originale.

Gameplay

Final-Fantasy-VII-Rebirth-gameplay

Final Fantasy VII Rebirth, ludicamente parlando, aveva due importanti compiti da svolgere: introdurre la struttura dei giochi open-world ed ampliare l’ottimo sistema di combattimento del capostipite. Possiamo già dire con fanciullesca gioia che il risultato è sensazionale e che Square Enix ha elevato la formula di partenza a vette che raramente sono state raggiunte.

Iniziamo questa disanima dunque con il primo e forse più importante aspetto dell’intera produzione: il combat system.

Sistema di combattimento e progressione

Anche stavolta ci si ritrova, pad alla mano, con un gameplay che unisce l’azione in tempo reale con il nostro caro ATB (active time battle). Quest’ultimo è infatti l’elemento che permette, una volta riempita un’apposita barra alimentata da attacchi e parate, di lanciare magie, utilizzare oggetti, abilità o invocazioni.

Le abilità (la maggior parte delle quali legate ad armi specifiche ma che, una volta apprese, possono essere utilizzate liberamente) permettono, a rigor d’esempio, di utilizzare alcune mosse speciali senza spendere PM (punti magia), mentre le magie sono indispensabili in fase offensiva (per colpire le debolezze elementari dei nemici), difensiva o tattica.

Questa a dir poco geniale soluzione permette di unificare azione e strategia, la quale si rivelerà fondamentale, se non addirittura decisiva, per uscire illesi da alcuni combattimenti con boss o creature speciali. Ogni scontro in Final Fantasy VII Rebirth è sempre una danza tra tempismo e tattica.

Fiore all’occhiello del combattimento è poi rappresentato dalle immancabili materie. Queste sfere magiche (da inserire nelle armi o nell’equipaggiamento) sono infatti ciò che permette al giocatore di utilizzare magie, potenziare alcuni parametri o ricorrere ad abilità speciali. La gestione delle materie rappresenta forse una delle parti più interessanti dell’opera, poiché consente non solo un’illimitata personalizzazione, ma è anche ciò che può, letteralmente, ribaltare le sorti di uno scontro.

Tutto questo, in una forma o in un’altra, era già presente in Final Fantasy VII Remake, ma qui funziona in maniera più fluida ed immediata, grazie anche ad alcuni piccoli accorgimenti (come la possibilità di utilizzare certe abilità a mezz’aria senza interrompere lo scorrere dell’azione) e all’introduzione degli elementi forse più interessanti: le azioni e le abilità sinergiche.

Sia le prime che le seconde non richiedono consumo di ATB ed anzi le azioni, se ben eseguite, premiano il giocatore con un boost all’ATB decisamente utile.

Le abilità sinergiche invece possono essere eseguite solo dopo un certo consumo di barre ATB da parte dei personaggi coinvolti, infliggendo ingenti danni e garantendo alcuni bonus come PM momentaneamente illimitati, stremo prolungato (ovvero l’azione grazie alla quale stordire per un breve periodo i nemici ed aumentare i danni) ed infine aumento del livello della Limit (la mossa finale di ogni personaggio e che potrà essere potenziata fino al livello tre).

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Queste nuove possibilità hanno ingrandito e migliorato significativamente la struttura ludica generale, portando il titolo a livelli di profondità degni dei migliori esponenti della serie. A rinforzare ulteriormente l’ottimo lavoro vi è poi una varietà di nemici che è solamente da applausi, in quanto ognuno di essi richiede un approccio specifico per essere soggiogato in maniera efficace, andando così a creare una magnifica corrispondenza tra possibilità d’azione e situazioni.

Ad affiancare il sistema di combattimento ci pensa un accorto sistema di progressione, che si sviluppa principalmente su due fronti: l’espansione delle armi e i manuali da combattimento. Tramite l’evoluzione delle armi (che saliranno di grado con i livelli del giocatore) è possibile impostare delle “prerogative”, ovvero bonus passivi molto eterogenei tra loro.

I manuali da combattimento forniscono invece PE (punti espansione), i quali consentono l’acquisto di diverse abilità (tra cui proprio quelle sinergiche) necessarie al pieno sviluppo di tutti i membri del party. Alcuni di essi sono legati al raggiungimento di determinati obiettivi, pertanto il nostro suggerimento è quello di non ignorare le attività secondarie, al fine di non incappare in gap parametrici troppo ampi.

In ogni caso l’equilibrio di gioco è perfetto e non si arriva mai ad un momento in cui si è troppo deboli o troppo preparati per una battaglia. L’unico modo per essere pienamente in vantaggio è padroneggiare la struttura ludica, come dovrebbe fare qualunque videogioco che si rispetti.

Una volta conclusa l’avventura, è poi possibile rigiocare ogni capitolo in modalità difficile, all’interno della quale sarà impossibile utilizzare oggetti e recuperare PM riposando (tranne alle stazioni dei chocobo), ma si manterranno tutti i progressi fatti, comprese attività opzionali ed oggetti recuperati. L’aumento della difficoltà non fa altro che sottolineare il magistrale lavoro di costruzione ed equilibrio compiuto, oltre a permettere l’accesso ad ulteriori potenziamenti e sfide aggiuntive.

È evidente come il lavoro svolto da questo punto di vista sia ineccepibile, tanto da non stancare nemmeno dopo centinaia di ore di gioco. Da solo però non sarebbe bastato a reggere l’intera produzione, ma per fortuna gli sviluppatori non si sono risparmiati, rinforzando la struttura con un ottimo sistema di progressione e tante (tantissime!) attività secondarie.

Missioni secondarie e…minigiochi!

Con l’introduzione dell’open-world (ma si potrebbe anche parlare di open-map) era necessario reinventare il mondo di Gaia non solo dal punto di vista visivo, ma anche contenutistico, al fine di modernizzare il titolo sotto tutti i punti di vista.

Final Fantasy VII Rebirth presenta dunque diverse regioni da esplorare pregne di attività, divise principalmente tra dossier di Chadley ed incarichi. I primi, legati al personaggio introdotto nel Remake, fungono da pretesto per analizzare il mondo di gioco, grazie a torri da attivare, sfide di combattimento (che ti insegneranno il modo più efficace per affrontare diversi nemici), case dei Moogle, altari degli Esper, e tanto altro.

Man mano che il dossier verrà ampliato si sbloccheranno diverse sfide nel simulatore da combattimento di Chadley, una gradita aggiunta che metterà alla prova le tue abilità.

Menzione d’onore va alle missioni relative ai vestigi, strani artefatti che Chadley ci chiede di recuperare e che nascondo un interessante segreto. Queste particolari quests si sviluppano in maniera unica a seconda della regione, fornendo inoltre una delle sotto-trame più interessanti del titolo.

Gli incarichi, d’altra parte, non sono altro che il continuum di quanto visto in Final Fantasy VII Remake, semplici missioni dove ti verrà richiesto di trovare un oggetto, sconfiggere designati nemici o partecipare ad un minigioco. Niente di eclatante, ma comunque una gradita aggiunta che sicuramente arricchisce il pacchetto.

Sia i dossier che gli incarichi forniscono inoltre, una volta compiuti, diverse tipologie di premi (come punti squadra per espandere il parco mosse del gruppo oppure oggetti di vario tipo), il che funge da ottimo e gradito incentivo.

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Novità di Final Fantasy VII Rebirth risiede invece nel sistema di trasmutazione, un modo semplice ma efficace di creare oggetti ed equipaggiamenti di ogni tipo, a patto di aver recuperato le risorse necessarie sparse in giro per il mondo o rilasciate dai nemici abbattuti.

Particolare cura è stata poi riposta nello spostamento all’interno delle zone. In ogni regione è possibile infatti chiamare i nostri cari amici pennuti chocobo, i quali renderanno i viaggi non solo più rapidi, ma anche più interessanti, giacché ogni location presenta, morfologicamente, una struttura diversa, la quale potrà essere facilmente attraversata grazie alle facoltà di questi uccelli.

Alcuni di questi saranno capaci di arrampicarsi, altri ancora di planare e così via, allontanando il pericolo di qualsivoglia tipo di monotonia.

Ultima componente ludica è rappresentata dai minigiochi, che, sorprendentemente, governano buona parte del titolo. Final Fantasy VII Rebirth è infatti intriso (anche troppo) di minigiochi di ogni tipo, i quali forse, in alcune occasioni, spezzano troppo il ritmo dell’azione, ma questo dipende anche da giocatore a giocatore.

In verità essi sono tutti molto ben curati (Queen’s Blood in particolare, un gioco di carte estremamente divertente) e non costringono mai il giocatore a soffermarsi più del dovuto, anche se i premi messi in palio esortano a fare qualche tentativo. Ciò però consente ampia libertà di scelta e, nel caso in cui non dovessi gradire questo tipo di attività, potrai semplicemente procedere oltre.

Una piccola parentesi va eretta anche per l’implementazione del Dualsense che viene sfruttato, soprattutto nei minigiochi e nella navigazione, sia per il feedback aptico che per i grilletti adattivi. Un gradevole tocco di classe che rinforza il fattore immersivo.

A stupire più di tutti dunque non è solo la quantità enorme di attività, ma la loro coerenza e funzione all’interno del pacchetto. Possiamo infatti definire la struttura ludica di Final Fantasy VII Rebirth come fortemente olistica, in quanto si viene a creare una forte interconnessione tra tutte le attività proposte.

Certo, alla lunga si potrebbe avvertire una certa monotonia (ma quale gioco non soffre di ciò? Esso dopotutto non è, per sua natura, la ripetizione infinita di azioni che trovano ragion d’essere in sé medesime?), eppure quella sensazione non ci ha mai colpito, spingendoci ad esplorare ogni possibile espressione del titolo.

Comparto estetico

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Niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza una direzione artistica che esaltasse la varietà di luoghi, culture, personaggi, mostri ed oggetti che hanno caratterizzato il gioco originale (con tutti i limiti hardware dell’epoca).

Per nostra fortuna, Square Enix non ha deluso neanche sotto questo punto di vista, regalandoci la più maestosa rappresentazione visiva dell’universo di Final Fantasy VII.

Per i fan di lunga data questo prodotto è, visivamente parlando, l’empirica manifestazione di quell’estro che ha accompagnato i giocatori nello scorso ventennio. Vedere con i propri occhi locations come Junon, Cosmo Canyon ed il Gold Saucer reindirizzate in tempo reale ha un gusto quasi onirico.

Gli sviluppatori sono infatti riusciti a dare sostanziale forma ad ogni singolo elemento, assumendo il ruolo di demiurghi e giocando con colori, idee e forme geometriche. Ogni sezione della mappa presenta infatti strutture architettoniche, palette di colori e scorci naturali senza eguali, comunicando ad oculos la storia dietro ogni ambiente.

Lo stesso si può dire dei personaggi, che non hanno minimamente risentito del passaggio all’alta definizione, risultando sempre coerenti e mai fuori luogo.

La medesima cura la si può trovare anche nella regia che governa le varie cutscenes, in particolare quelle principali che godono di particolare attenzione, tanto da non far sfigurare il titolo difronte a molte produzioni cinematografiche (visto inoltre il legame tra l’originale Final Fantasy VII ed il cinema, è impossibile non avvertire una certa ironia di fondo).

Comparto tecnico

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L’unica vera nota semi-dolente la si può riscontrare nella qualità tecnica generale e nell’ottimizzazione, la quale, pur non rivelandosi mai nefasta, avrebbe forse necessitato di una maggior cura.

Non voglio dar luogo a fraintendimenti: il colpo d’occhio è stupendo, ma i problemi sorgono quando si osservano i vari elementi da vicino. Texture in bassa risoluzione sono infatti all’ordine del giorno (tra l’altro messe in evidenza proprio da alcune inquadrature) e la modalità performance restituisce un’immagine molto poco nitida, seppur stabile a livello di frame-rate.

Consigliamo pertanto la modalità grafica che, ancorando il frame rate a 30, dona un’ottima pulizia dell’immagine e una degna resa visiva su schermi 4K (pur con i medesimi compromessi citati in precedenza).

Nonostante tutto, il titolo si mantiene costantemente stabile, senza crash improvvisi anche dopo lunghe sessioni di gioco o bug di sorta che rovinino l’esperienza.

Comparto audio

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La colonna sonora di Final Fantasy VII è una delle icone del videogioco, ma quella di Rebirth è semplicemente superlativa, un capolavoro sonoro che porta il lavoro originale di Nobuo Uematsu su un altro piano esistenziale.

I compositori non si sono limitati a ri-arrangiare i brani originali, ma hanno colto l’occasione per sperimentare e reinventare, creando un perfetto equilibrio tra vecchio e nuovo. Quello che colpisce è soprattutto la “dinamicità” della musica, una geniale trovata che modifica il brano di sottofondo a seconda di ciò che avviene a schermo, senza creare brusche interruzioni.

Ad edulcorare il tutto vi sono poi numerosi effetti sonori legati al combattimento e alle numerose azioni in game, che restituiscono un senso di organicità e coesione.

Impossibile non citare il doppiaggio, che nella versione inglese risulta molto teatrale ed espressivo ma è possibile giocare l’avventura anche con il doppiaggio giapponese originale. Piccola nota a margine: i sottotitoli (rigorosamente in italiano) fanno riferimento allo script giapponese, pertanto le discrepanze con i dialoghi in inglese non sono frutto d’errore.

Final Fantasy VII Rebirth • Verdetto

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Dopo quattro anni di attesa, il secondo atto del progetto Remake si è finalmente materializzato, superando le più rosee aspettative e dimostrandosi il miglior lavoro della compagnia giapponese negli ultimi anni.

Final Fantasy VII Rebirth è riuscito in un’impresa quasi impossibile, superando l’ottimo predecessore e riportando la gioia di una passata era videoludica nel mercato moderno. Alcune scelte narrative sono certamente discutibili e l’ottimizzazione generale non è così cristallina, ma sono inezie se confrontate con l’immensa mole qualitativa che abbraccia tutta la produzione.

Un gameplay stratosferico, una colonna sonora divina e una storia emozionate sono gli ingredienti che hanno reso Final Fantasy VII così popolare e vedere la medesima cura, attenzione e passione qui riproposte è qualcosa che scalda il cuore.

Ci troviamo difronte ad un’opera monumentale, un lavoro esemplare che dimostra come debba essere realizzato un remake, ovvero elevando all’ennesima potenza tutto ciò che ha reso celebre il prodotto originale.

Il vero difetto di Final Fantasy VII Rebirth? Dover aspettare ancora qualche anno (nel migliore dei casi) per il sequel.

Pronto a sfidare il destino?

Giuseppe Saija

Dopo aver conseguito la Laurea in Scienze Filosofiche, ho deciso di mettere la mia conoscenza al servizio della mia passione più grande: il videogioco. Questo infatti si è dimostrato un fenomeno estetico complesso ed affascinante, una dimostrazione empirica di come l'aisthesis sia la chiave di studio che meglio può documentare il valore di questa nuova forma d'arte.

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